Chissenewow: Trattoria Arlati e la pace con Milano
Non ci avevo discusso apertamente con Milano, mi ero rinchiuso, fra silenzio e distacco: sarà il covid, sarà questo tempo sospeso, sarà che c’è tanta qualità ma a volte poca qualità di vita, quella vera intendo, quella con l’anima, quella in bici.
Poi per mantenere una promessa fatta 7 anni fa, sono andato da Leopoldo, nella sua trattoria e con Milano ci faccio pace.
Sembra arredata da Gondrì, sospesa, ferma come l’orologio alle mia spalle eppure in continua evoluzione.
Si sentono gli accordi di Battisti che qui ci suonava fra pane e salame e vino buono, si vede il fumo delle sigarette dei cabarettisti intenti a far ridere ma soprattutto a far pensare.
Si vedono i pubblicitari che schizzano sui fogli, mentre pensano alla riunione del giorno dopo “e ora a Campari che gli dico”.
Si sente tutto questo dal 1936, ma leggero, mai museale, come alleggerito, come i piatti che parlano della tradizione ma lasciano indietro quello che era troppo.
Allora a qualche impertinente ragazza vien voglia di ballare e il cameriere che ti scopre e all’imbarazzo sulle tue gote: “non ti preoccupare, il palco è fatto apposta per ballare”.
E allora cancelli ogni risotto al salto fatto senz’anima e ti fa cancellare quel vuoto che a volte senti in questa conca, dove si lavora lavora e basta da sempre.
E di nuovo tutto si riempie: di quadri, di storie, di sapori, di gesti educati che solo qui, dove alla fine è il centro, si sono visti, si vedono e si vedranno.
E allora pace Milano, mi torni bella come quando ti dipingevo e mi facevi una cosa strana: mi ispiravi.
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